Il bene comune va di moda

Published by Daniele on

Di cosa parliamo davvero quando discutiamo di “bene comune”?

Nel dibattito pubblico e politico, poche espressioni vengono usate (e abusate) quanto il “bene comune”. A sentirla pronunciare, sembra evocare i valori più alti della convivenza civile: giustizia, solidarietà, responsabilità. Eppure, nella realtà dei fatti, questa formula si è trasformata sempre più spesso in un contenitore vuoto, utile a giustificare scelte discutibili, alleanze incoerenti e manovre di potere.

Quando il bene comune diventa un alibi

In molti casi, l’appello al bene comune serve a nobilitare decisioni impopolari, a presentare compromessi come necessità etiche o a coprire giochi politici. Non è raro che venga evocato per giustificare tagli alla spesa pubblica, restrizioni di diritti o accordi fra partiti storicamente opposti.

“Lo facciamo per il bene comune”, dichiarano, mentre sotto la superficie si muovono interessi di parte, logiche di sopravvivenza politica o accordi elettorali strategici.

Alleanze senza coerenza: un fenomeno sempre più diffuso

Un altro uso ambiguo del termine riguarda le alleanze politiche ibride, nate tra forze che fino a poco prima si definivano incompatibili. In questi casi, il “bene comune” viene usato come scudo retorico per mascherare incoerenze programmatiche e tradimenti del mandato elettorale.

Così, il cittadino si ritrova a domandarsi: ma chi rappresenta davvero i miei valori?

I numeri non mentono: la crisi di fiducia si vede alle urne

Se il “bene comune” fosse davvero al centro dell’agire politico, si direbbe che gli italiani ne siano abbastanza convinti… a giudicare dai dati sull’astensionismo.

Alle elezioni politiche del 2022, oltre il 36% degli elettori ha deciso di non votare, segnando il record storico di partecipazione più bassa della Repubblica. Alle recenti elezioni europee del 2024, la partecipazione è scesa sotto il 50%, un dato che fa riflettere. E nelle elezioni regionali in alcune zone come Lazio e Lombardia, la partecipazione si è fermata intorno al 40-45%.

Numeri che sembrano dire: se il bene comune fosse davvero in gioco, forse varrebbe la pena partecipare di più.

Le conseguenze: disillusione e sfiducia

Il risultato di questa strumentalizzazione è grave: il concetto di bene comune perde forza, e con esso crolla la fiducia nelle istituzioni. Quando i cittadini iniziano a percepire che parole come “solidarietà”, “interesse collettivo” o “giustizia sociale” vengono usate solo per convenienza, cresce il cinismo, e si allontanano dalla partecipazione politica e civile.

Recuperare il senso autentico del bene comune

Ma il bene comune esiste, ed è un valore fondamentale per una società sana. Va però riconosciuto nei fatti, non solo nelle parole. Richiede trasparenza, coerenza, inclusione, e soprattutto la volontà reale di mettere l’interesse collettivo davanti a quello personale o di partito.

Recuperare il significato autentico del bene comune non è solo un atto politico, ma un dovere morale. Perché una società che dimentica il bene di tutti, finisce per non garantire più il bene di nessuno.

“La questione morale esiste da tempo, ma ormai è diventata la questione politica prima e fondamentale.”

— Enrico Berlinguer


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